MUSEUM OF FREE DERRY, LA PROTESTA: “NON METTETE I NOMI DELLE VITTIME INSIEME A QUELLI DEI SOLDATI”

Sono Linda Nash e Helen Deery le voci delle vittime della violenza britannica dei Troubles: dal 31 agosto hanno “occupato” il Museum of Free Derry, e hanno giurato di restarci finché il pannello che mostra i nomi delle vittime dell’esercito britannico insieme a quelli dei soldati morti durante i Troubles non sarà rimosso
Vittime dell’esercito, soldati britannici, Volontari dell’IRA, civili e agenti del RUC: tutti i nomi, mescolati, di chi morì fra il 1969 e il 1972 appaiono all’interno di un pannello digitale nel Museum of Free Derry. Ma le famiglie delle vittime dell’esercito non ci stanno.
“Abbiamo già fatto ricorso ad ogni forma di protesta perché i nomi dei nostri cari vengano tolti, ma non è servito”. Così Helen Deery spiega l’azione sua e dell’amica Linda Nash. “Ho già detto loro in numerose occasioni di tutto il dolore e l’ansia che questa installazione mi provoca. Starò qui finché non verrà tolta”.
Entrambe persero il fratello minore per mano dei soldati britannici: William Nash aveva 19 anni, e Manus Deery solo 15.
“Il fatto che il suo nome sia mostrato insieme a quelli dei soldati è sbagliato e mi tiene sveglia la notte”, aggiunge Kate Nash. “Non ho intenzione di andarmene finché non li vedo fisicamente rimuovere l’installazione”.
“Siamo qui per protestare pacificamente. Stiamo anche spiegando ai turisti cosa sta succedendo. Non vogliamo alcuno scontro. Semplicemente, vivremo qui finché non la toglieranno”, ha precisato, facendo presente che anche arrestarle non servirà: “Se ci arrestano ci lasceremo portare via, ma appena saremo rilasciate torneremo qui, perché questa storia deve finire, ora”.
Robin Percival, presidente del Bloody Sunday Trust, ha dichiarato che al momento sta lasciando alcuni membri dello staff di notte, ma che “bisognerà vedere come affrontare la situazione sul lungo termine”, perché “prevede che vada avanti per un po’”.
Carlos Latuff ha realizzato una vignetta in sostegno di Kate Nash e Helen Deery, che pubblichiamo qui: