L’ODISSEA DI ‘TA’ McWILLIAMS A MAGHABERRY: “IL PRISON SERVICE STA GIOCANDO ALLA ROULETTE CON LA MIA VITA”

Riportiamo in traduzione uno statement del prigioniero di Cogús Thomas ‘Ta’ McWilliams, che racconta dell’odissea per farsi ricoverare in un ospedale esterno dopo aver avuto un arresto cardiaco
“Venerdì 7 marzo ho visto un medico per dei dolori al petto. Il medico era Wagar Ahmed. Mi ha detto che il dolore era angina e mi ha dato delle pastiglie e uno spary ENT. La mia pressione era altissima, più di 100.
I dolori però sono continuati per dieci giorni, e la pressione scendeva soltanto quando usavo lo spray. Ho continuato a vedere un medico ogni giorno per farmi misurare la pressione, e ogni giorno era altissima. Un giorno, ho detto al medico che i dolori erano fortissimi e che ormai mi prendevano anche la gola.
Il venerdì e il sabato ho fatto di nuovo presente che i dolori stavano decisamente peggiorando e di nuovo mi hanno detto che avevo la pressione altissima e molto al di sopra dei valori considerati a rischio.
Ho quindi chiesto se un medico potesse farmi accedere ad un ospedale esterno, perché sapevo di star arrivando ad un punto pericoloso. Al telefono, il medico mi ha risposto che in effetti da quel che dicevo sembrava stessi avendo un infarto, ma di continuare soltanto ad usare lo spray.
Il giorno di St. Patrick’s mi sono sentito veramente male, tanto da non riuscire nemmeno ad andare in sala ricreazione come d’abitudine. Sono rimasto sdraiato a letto e dopo un po’ ho deciso che fosse il caso di scendere ed andare di nuovo dal medico.
Un altro POW di Cogus mi ha visto, mi ha fatto sedere, e ha chiamato lui il medico, una donna che mi ha visitato subito.
Le ho detto che stavo iniziando a sentirmi seriamente male, e che le fitte mi arrivavano fino alle mandibole. La sua risposta è stata di stare calmo, che non stavo avendo un infarto perché il mio colorito era normale.
A quel punto avevo ormai capito che la situazione era tutt’altro che normale: la mia pressione era 220-110. Mi hanno detto di tornare in cella, sdraiarmi di nuovo, riposare e continuare con lo spray. Per tutto il giorno ho continuato a sentire dolore al petto e provavo la sensazione di avere un macigno che ci pesava sopra.
Alle dieci di quella sera ne ho avuto abbastanza e ho premuto il pulsante di allarme della cella. Dopo un po’ il secondino ha avuto il permesso di aprire la porta e, insieme ad altri secondini, mi ha accompagnato giù dal medico. Grazie al cielo il medico di guardia era una cardiologa, che appena misuratami la pressione ha chiamato un’ambulanza d’urgenza e mi ha detto che era folle che non mi avessero fatto ricoverare giorni prima in un ospedale esterno, perché ero la personificazione di un infarto in arrivo.
Gli agenti della polizia carceraria mi hanno sottoposto ad una strip search e poi mi hanno portato in ambulanza ammanettato ad un secondino, quando era chiaro che in quella condizione non avrei potuto essere una minaccia per nessuno.
Al pronto soccorso mi hanno fatto le analisi e un cardiologo mi ha detto che avevo avuto un infarto. Era incredulo quando gli ho detto che erano dieci giorni che avevo dolore, ed è andato dai secondini a chiedere perché non fossi stato portato in ospedale prima. La risposta è stata che non erano affari suoi.
Il giorno dopo mi hanno operato al cuore, perché avevo un’arteria chiusa.
Quel mercoledì mi hanno riportato a Maghaberry, dove mi aspettava una squadra in tenuta antisommossa che mi ha ordinato di svestirmi. Mi sono rifiutato e ho detto che mi avevano appena operato e che avevo avuto un infarto. Allora due secondini mi hanno preso per un braccio e spinto a terra. Uno mi ha preso la testa e premuto il mento contro il petto mentre mi toglievano le scarpe, le calze e i jeans. Poi mi hanno tolto l’intimo. Dopo aver perquisito i miei indumenti me li hanno rimessi per metà, mi hanno fatto alzare sulle ginocchia e tirato le braccia in alto per togliermi la maglia. A quel punto stavo agonizzando per il dolore, e gliel’ho detto. Allora mi hanno lasciato andare le braccia facendomi ricadere a terra, e mi hanno detto di “rivestirmi decentemente”.
Per tutto il tempo in cui sono rimasto nudo sul pavimento della cella il governatore Armour è rimasto a guardare. Gli ho detto che tutto questo non sarebbe stato necessario, perché ero rimasto sotto sorveglianza tutto il tempo, ma lui ha risposto che dal servizio sanitario professionale avevano dato l’OK per la perquisizione. Gli ho chiesto chi di preciso lo avesse detto, e mi ha ignorato.
Ho poi parlato al telefono con un medico che mi aveva avuto in cura e lui mi ha informato che era una bugia e che nessuno aveva mai detto una cosa del genere a nessun agente della polizia penitenziaria.
Tornato nella Roe 3 nessuno mi ha dato i farmaci che mi erano stati prescritti, e li ho avuti soltanto alle 16:45 del giorno dopo, quando sarebbero da assumere “come prima cosa al mattino”.
In carcere, ho visto un medico soltanto l’8 aprile, cioè tre settimane dopo l’operazione, e l’ho dovuto chiamare io!
Non aveva una risposta a nessuna delle mie domande, inclusa la mia richiesta di spiegazioni sul perché ci fosse voluto così tanto per avere una visita. Gli ho detto chiaramente che il Prison Service sta giocando alla roulette con la mia vita, e gli ho chiesto di cercare delle risposte.
Voglio concludere ringraziando Cogus, tutti coloro che hanno partecipato alla veglia per me in Ardoyne Ave, e in particolare la mia partner Trisha e la mia famiglia.”
(Fonte: Facebook)